Comunicare il rispetto: in famiglia, in classe, con gli amici

Sembra facile, ma molti di noi lo sanno che non è così…anzi oggi sembra più difficile perchè probabilmente cerchiamo più occasioni di dialogo e confronto, più momenti da passare insieme di quanto non si faceva una volta.

comprendiamociAdulti e bambini comunicano sulle stesse…. “frequenze”? 

LUNEDI’ 26 Settembre ORE 17,30 la psicologa Dr.ssa Sabrina Marenco affronterà questo delicato argomento dove il rispetto ha un ruolo centrale che si riflette su tutte le relazioni del bambino. Incontro GRATUITO presso la Farmacia di Corso Savona ad Asti. (gradita la prenotazione al tel. 0141-530563)

Come possono i genitori insegnare ai figli il rispetto reciproco?

Probabilmente il più grande strumento che i genitori hanno.. sono loro stessi! Il rispetto reciproco è qualcosa che non si impara sui libri (almeno non solo..) ma soprattutto dalla pratica, dalla vita di tutti i giorni. Il rispetto è una forma di comunicazione, una forma di relazione e quello che viene vissuto dal bambino in casa tra i componenti della famiglia e nei suoi confronti, e l’esperienza è lo strumento che se interiorizzato ha una potenza esponenzialmente superiore a mille raccomandazioni. Ricordiamoci che la comunicazione non verbale, quella che passa attraverso la “pancia”, le emozioni, i comportamenti arriva molto più chiaramente e prima della comunicazione verbale ai bambini e soprattutto quando non c’è coerenza tra “il dire e il fare” (es. “ non si dicono le parolacce!” e poi al semaforo verde inveiamo contro l’automobilista davanti che non se n’è accorto e non parte ma noi abbiamo fretta!) l’azione sarà quella che rimane.

Una buona domanda potrebbe essere “ cosa sto comunicando al mio bambino?”

Ora, non voglio mandare nemmeno in allarme tutti i genitori: non è il caso che andiate a ritroso a pensare a tutte “quella volte che…”. Si parla comunque di comportamenti che vengono reiterati nel tempo, quelli che sono la normalità e non le eccezioni; ovvio che “scivoloni” possono capitare! L’ importante è il modo in cui vengono gestiti, parlandone, magari spiegando le motivazioni (es. oggi mamma è nervosa perché…; mi dispiace di essermi comportato così, sai mi sento..), aprendo al dialogo e al confronto, in modo tale anche da dare un posto e un ruolo a quelle emozioni che ogni tanto possono farci perdere un pochino la bussola, ma che possono e devono trovare un loro posto e che vanno legittimate, sia per i genitori (ci rendono più umani e consapevoli) che per i nostri piccoli (se si può arrabbiare mamma/papà ogni tanto allora posso farlo anche io). Le potenzialità dell’intelligenza emotiva sono infinite!

Perchè spesso i bambini non parlano con i genitori di quello che gli succede e si tengono tutto dentro?  

Può dipendere da molti fattori. Intanto l’età del figlio: è possibile che nelle varie fasi di crescita o nei vari momenti di vita, in concomitanza anche dei compiti di sviluppo che sono chiamati ad affrontare, la comunicazione cambi (pensiamo in adolescenza..). E’ possibile che dipenda quindi dal momento storico, dal carattere, dal tipo di rapporto che si è costruito all’interno della famiglia, e sicuramente dallo stile comunicativo che lo struttura e dallo stile educativo. Probabilmente all’interno di un contesto familiare in cui vige il rigore assoluto, in cui si fa solo come comandano i genitori, ove non c’è spazio di negoziazione, dove non c’è scambio comunicativo efficace, diventa difficile per un bambino aprirsi. Dipende anche molto da quale cosa gli è successa e cosa deve comunicare: potrebbe essere un episodio o una situazione di difficile gestione emotiva per lui/lei, per cui può subentrare l’imbarazzo piuttosto che la paura (magari anche di essere sgridato per l’accaduto) o il senso di colpa, che sono emozioni a volte di difficile gestione e/o di difficile riconoscimento per un adulto, figuriamoci per un bambino! Quello che possiamo fare come genitori è praticare un ascolto attivo, dedicare del tempo al reale ascolto dei nostri bambini, avere un atteggiamento di apertura e di genuino interesse verso quello che fanno, hanno fatto o che provano e che ci vogliono dire. Non un ascolto frettoloso incastrato tra i mille impegni, ma un ascolto autentico che possa far sentire al bambino che può dirci tutto e che magari lo possa anche aiutare a rielaborare quelle cose più difficili da mettere in parola.

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